Inchino. Rhove e Molko

L’associazione innediata dell’inchino ha una estrazione orientale che si può riassumere in una dimostrazione di rispetto.

Nella cultura europea contemporanea lo si associa al palco, negli spettacoli, nella forma di un ringraziamento ai presenti, che tuttavia rappresenta sopratutto una forma di riverenza nei confronti, ad esempio, della musica, oltre al definire la  conclusione di un dono destinato al pubblico.

Sofferente e smarrito dalla deriva della musica tutta, di questi ultimi anni, a metà luglio mi ha molto colpito l’abbandono del palco di un rapper, sconfortato dalla scarsa partecipazione del pubblico li presente per ascoltarlo.

Tale “Rhove, il rapper milanese divenuto famoso per il brano Shakerando” (copio e incollo da lasicilia.it), circondato dalla sua crew (su questo mi taccio) ha interrotto lo spettacolo così pronunciandosi:

“Un quarto di voi era fermo a fine concerto. Non esiste che all’ultima canzone state fermi, non esiste ragazzi. Il concerto è finito e adesso on avete ancora saltato un cazz*”

In questi giorni di agosto, cercando  smarrito nella musica dal vivo, morta in questi anni senza funerale alcuno, son riuscito ad assistere a qualche (pochi ahimè) concerto.

Oltre a ritrovare una cifra di qualità che mi ha confortato lievemente, seppur in generi a cui non appartengo pienamente, il più bel gesto che potevo rivedere, da spettatore, è stato l’inchino a fine concerto.

Gesto compiuto in maniera trasversale da chi di qualità esperienziale ne ha da vendere, fino a chi, emozionato, si è espresso sul palco.

Chiaramente potrebbe suonare strano l’inchino di un rapper e non voglio rinnegare un mio stesso sorriso alla chitarra rotta sul palco di Sanremo da Brian Molko nel 2001, che mi viene in mente ora che scrivo. Tuttavia ricordo bene una discussione di 60 minuti sul perché Godano (Marlene Kuntz) non dicesse neanche una parola durante un suo concerto; donava la musica al centro, senza distrazioni, la nostra conclusione.

Al di là di ulteriori infiniti punti di riflessioni, ho trovato emblematico  quell’atteggiamento di luglio 2022 e quelle parole, rispetto allo scenario che viviamo nel contesto musicale contemporaneo.

Viviamo tempi binari, bianco o nero, ma nelle sfumature di un gesto ci sono infiniti significati; non perdiamo di vista questi gesti, non perdiamo l’idea di accogliere l’inchino; probabilmente iniziando ad uscire dalla logica binaria capiremo che chi condanna Rhove non ha compreso qualcosa, al pari di chi si inchina non comprendendo il significato di questo poetico empatico e circolare gesto.

Probabilmente stiamo per esser assorbiti tutti da questa logica di pensiero binario; occorrerebbe un ponte, un codice transitorio per recuperare terreno, gesti, qualità nelle cose.