Dovrei scrivere “live club” ma restano “i locali dove si suona”. Il pubblico però pare non sia propriamente locale. Fra i gestori di chi porta avanti, con incedere faticoso ma orgoglioso, un determinato discorso legato alla musica, mi capita infatti spesso di riscontrare la stessa considerazione a fine concerto: “Su 100 persone ne ho contate forse solo dieci che sono di qui. E’ fantastico vedere facce nuove ma dov’è la risposta della mia città? Tutti che sperano in un posto dove si suoni, poi si concretizza e dove finiscono? #Comete?” Credo che solo nell’ultimo mese, a decine di chilometri di distanza, mi son trovato ad affrontare lo stesso sfogo con tre gestori di altrettanti locali, ma in realtà non è certo la prima volta che questa amarezza emerge. La tendenza a spostarsi è sempre esistita, così come quella di criticare, snobbare e non apprezzare ciò che abbiamo sotto gli occhi. La questione è dunque decisamente ramificata in una serie di valutazioni complesse. Vorrei però concentrarmi. Partiamo dalla reale percezione delle difficoltà di portare avanti una politica di programmazione live. Credo che i gestori la meritino e credo che possa stimolare l’importanza di essere semplicemente presenti a sostegno. A supporto, un interessante report di Keepon che ha analizzato i numeri di 279 “live club” (è scritto così). In 190 di questi non si paga l’ingresso ai concerti e solo il 15% di queste realtà si affida a bandi istituzionali a supporto (ciao Francia). Si dirà “il locale però è pieno, la serata è andata bene e quindi incassa”. Non si dirà invece del piccolo particolare che quel pubblico presente al concerto non resterà certo anche nei restanti 364 giorni dell’anno. Spendiamo inoltre qualche rigo sulle spese reali: il cachet dei gruppi vale solo il 14% delle spese generali dei locali. Proviamo in proporzione a immaginare allora i costi fissi di personale e servizi, Siae, cibo e bevande, sino alle immancabili e sottovalutate bollette. Poi ti tornano i Moustache Prawn dal Giappone che ci raccontano di come le band emergenti siano solite pagare il gestore del locale affittando la sala per potersi esibire. Al di là di questo (ciao Giappone), cos’è cambiato in questi ultimi anni? La percezione probabilmente risponderebbe il numero di locali e concerti. Io, ad esempio, mi devo ancora riprendere dalla chiusura del Goldoni di Brindisi. Ritorniamo ai numeri: secondo il report in effetti il numero di concerti è invece stabile: 605 a settimana in Italia nel 2016 a fronte dei 600 nel 2012. Il numero delle band “attive” è invece aumentato del 28%! Ma questa è un’altra storia. C’è vita nei live?
Mino Pica
Pubblicato su Coolclub.it
Anno XIII Numero 89
Novembre 2016