METTIAMOCI DA PARTE

Nell’ultimo Coolclub Live, ospitato a giugno dal Km97 di Novoli, mi ha colpito una battuta di Valerio Daniele che rifletteva sulla forte presenza di progetti artistici nel territorio, ma al contempo sulla profonda distanza fra la qualità di poche realtà e la povertà di tante. La difficoltà di distinguere le opere d’arte da quelle da mettere da parte, non appartiene esclusivamente alla nostra epoca di certo, ma oggettivamente la condizione dell’uomo della nostra società è sottoposta ad un duro lavoro in questo senso. Viviamo sedati da mille stimoli, impulsi, scene e colori, in cui la molteplicità rende anonime le identità espresse e le rappresentazioni riflesse. Un terzo millennio incentrato sulla comunicazione subisce l’incapacità di gestirla, e l’uomo sembra sempre più incapace di orientarsi nella complessità della tecnologia che lo governa. Perché l’interattività dei social, dei mezzi di informazione, delle applicazioni, di smartphone, kindle e gps generano un linguaggio in cui il pubblico è autore protagonista invece di spettatore utilizzatore. Questo comporta, di riflesso, anche nell’arte, ad una molteplicità infinita di prodotti musicali, artistici, letterari e non solo, in cui è davvero difficile individuare la qualità e coglierne bellezza, ispirazione interpol_320ed utilità. Una miscela di ignoranza diffusa, a cui nessuno ci ha preparato, ha ribaltato anche i parametri di riconoscimento estetico ed etico, sedando persino la curiosità, prima ancora della bellezza stessa rappresentata. Sempre recentemente leggevo di uno studio secondo cui ben presto (omettiamo che questo avviene già) anche l’informazione adatterà la sua forma, ai suoi destinatari: la stampa sarà sostituita da algoritmi che, analizzando la posizione e la condizione dei lettori, confezioneranno automaticamente post, articoli e titoli col solo scopo di attirare l’attenzione, che si riduce tra l’altro sempre più. Stessa notizia presentata diversamente in base ai destinatari. Di certo questo mio pezzo non risponde a questi paradigmi, anzi dovrei infilare qualche battuta qua e là ma dai, manca poco alla fine. Mettendo da parte questa nota, anche l’arte tende già a preoccuparsi più del destinatario che del messaggio. Se a questo aggiungiamo una imitazione della realtà a discapito della creazione, siamo messi abbastanza male. L’arte imitativa, che Hegel definiva “pericolosa”, occupa abusivamente i nostri spazi, le nostre domande e la centralità sociale dell’arte non esiste ormai da tempo. L’artista abusato ed abusivo è travolto da questa esplosione di riferimenti e si rifugia nel proporre delle superficiali trovate, delle battute, delle intro musicali già sentite, delle copertine di libri standardizzati e foto riscattate. Le idee, le visioni, l’impulso creativo e  l’arte come anticorpo, come anticipo della realtà, è riposta tristemente nel nostro armadio. Apriamolo e mettiamoci da parte, perché ha bisogno di nuova luce: sarà più semplice per noi distinguere la qualità nella quantità.

Mino Pica
Pubblicato su Coolclub.it
Anno XIII Numero 83
Giugno 2016

Immagine frame tratto da video Interpol – “Lights” (regia Charlie White, 2010)