“Volevo magia” (Capital Records, Universal Music, 2022) è il ritorno dei Verdena, a distanza di sette anni dall’ultimo album in studio.
Confortante e inatteso ritorno (scoperto per caso), da amaro disilluso perduto dalla scena musicale contemporanea, distante secoli luce da quella ricca a cui i Verdena appartenevano a grande titolo.
La curiosità è stata immediata e, prima di ascoltarlo, leggendo le critiche delle prime recensioni online, mi chiedo cosa (non) scrivano allora della musica morta di questi ultimi 5 anni.
Tredici tracce, 51 minuti e 28; Alberto Ferrari, Roberta Sammarelli, Luca Ferrari.
L’album parte con Chaise Lounge (1), nel suo attacco che inspiegabilmente mi rilancia “nella tua fretta” (2001) ma è solo un personale strano tuffo nostalgico, mentre domande sui criteri di scelta del primo video di un album che conterrà questo ma certamente tanto altro. Traffico di personali riflessioni ai margini ma la prima traccia in realtà si rivela ben presto un benvenuto fra le scale di questo condominio che sai di (ri)conoscere. Distorti, prende forme cercate, istruiti all’ascolto, guidati da chi non si mette al volante, nel guardare ciò che è stato attraversato, in una semplice splendida combinazione che impone la densità della distanza.
Entriamo così dalla porta di Paul e Linda (2), fra luci hard blues che alimentano questa energia custodita, dono innato dei Verdena di prima e di poi. “Stai, cosa mai potrà muoverti”, mentre il brano ti studia attorno, ondeggiando e avvolgendoti. Classe sporca. L’osato finale contaminato sperimentale merita.
Oltre ora a Pascolare (3), qui in piedi, sospinti da questi riff
che iniziano a segnare netto questo percorso nel suo complesso; tappeti guida che indicano la direzione fra i primi testi affogati che altro non sono che tentativi di simbiosi vocali e sonori. Nuovo elemento comune dello stile Verdena.
Inedite sonorità attraversano Certi magazine (4), in questo ritmo Duemila pop, battuto con disinvoltura divertita, a tratti surreale nei toni, tentata, toccata.
Catapultati poi in Crystal Ball (5) in un nuovo ambiente, che spiazza, diverte, fra le sue chitarre sporche di accenni nu metal americane fine 90, conditi di cori inediti.
Ennesimo scostamento netto da Diabolik (6), nelle dinamiche basse soffuse, ma nette, che introducono quel sound ritmo Verdena, riconoscibile dopo pochi istanti dall’ingresso; greve non denso, ma tuttavia incompiuto.
La poetica Sui Ghiacciai (7) di questo brano è oltre mare, nostalgico, perchè “perdersi è una agonia, ed i dubbi che non hai, le sinergie”; il testo prende voce pienamente, mentre questa sua sonorità ti culla, ti spinge, ondeggia e riprende, in questa altalena di sguardi lanciati nella profondità di riflessioni che ti scuotono con rispetto. Sincera.
Volevo magia (8) da il titolo all’album ma dopo cinque ascolti continuo a chiedermi il perchè. E non aggiungo altro.
Subito dopo arriva Cielo Super Acceso (9), semplicemente quello che considero il miglior brano dell’album, per idendità, timbro, modernità ed appartenza assoluta al marchio Verdena. Null’altro.
In × sempre assente (10) si rientra nella dimensione più cercata, forse significativa; “disteso non puoi”, ultra nordica traccia che apre in questa distesa di Basso guida; manifesto temporale che racconta e dispensa, che coglie e lascia sensi sopiti.
La tarantiana Paladini (11) scuote forte dalle distese donate e individuate mentre Sino a notte (12) e Nei rami (13) appaiono molto distanti da tutto ciò che le precede; valutare un intero album richiede tempo, molto tempo, magari le rivaluterò.
Di certo questo piacevole ritorno inatteso dimostra tutta la classe sporca di questo fondamentale gruppo che anche solo tornando ci ricorda cosa è vera musica, sperimentazione, identità e specchio, mentre là fuori l’amnesia sembra aver colpito tutto e tutti noi.
“Perdersi è un’agonia“.
Mino Pica