LA SINDROME DEL PUNK

UNA - Marzia Stano (Foto di Daniela Errico) (3)Era da tempo che non mi veniva in mente. La ricordo nella mia fase post adolescenziale, quando mi chiedevo se per combattere il sistema (delle cose) bisognava entrarci dentro oppure alienarsi, non riconoscendone modi e forme. La sindrome del punk, per me, era proprio questa. “Punk nella testa e non nella cresta”, mi scrisse un caro amico sulla mia borsa verde a tracolla che mi portavo ovunque. Mi è ritornata in mente qualche settimana fa quando ho visto Una (Marzia Stano) in onda su Raiuno per partecipare alle selezioni di Sanremo Giovani. Tre passi indietro, e la sua eliminazione, hanno alimentato delusione e sconcerto, confronti e riflessioni, ma quei passi che sapore hanno davvero avuto? Indietreggiare di fronte alle bassezze di Chiambretti, al non giudizio di una figlia di Celentano o alle confuse motivazioni dell’imitatore di Zalone? E se le avrebbero concesso di non indietreggiare invece, che peso avrebbero avuto? Quale il sottile confine fra delusione ed entusiasmo? Tutto questo potrebbe poi scalfire lo spirito maturato? Una è senz’altro una grande cantautrice e merita profondo rispetto anche solo per le centinaia di concerti alle spalle a suon di sudore; dal punto di vista qualitativo poi basterebbe sentire un suo live, in uno striminzito pub che sia o, come le è successo, su palco dello Szigest di Budapest o ancora, senza sconfinare troppo, con l’apertura in estate dei Post Csi sul palco del Rockinday. Ha decisamente già il suo pubblico ed un percorso importante alimentato da una crescita artistica degna di nota; allora perché  entrare nel sistema (delle cose) di un format talent che 11 volte su 10 umilia la musica e chi la ama. Si dirà che si dovrà pur lavorare ma a quale prezzo? Sono tante le comete, e poche le stelle, ma potrà entrarci nuovamente una cometa in piccolo pub? La sindrome del punk stranamente, o forse no, mi è ritornata in mente anche più recentemente. Parlo di quello che considero uno dei migliori artisti di questi anni. Anche qui parliamo di un pugliese: Gianluca De Rubertis. Mi riferisco alla sua apparizione, non proprio celestiale, a “Che tempo che fa”, con un piano in sala ma nessun piano per poterlo suonare. Pochi secondi, uno sfuggente primo piano mentre Fabio Volo restava inchiodato a quel tavolo a promuovere il suo ultimo libro. Speriamo. (Che sia l’ultimo). Brecht preferirebbe forse “sedersi dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti sono occupati”. Potremmo immaginare di sederci invece ai margini del tavolo, considerare l’idea di costruirne di nuovi a partire dal margine. I margini hanno fascino e ce ne sono sempre a disposizione. Magari, di nostra volontà, potremmo fare qualche passo indietro  ed accomodare sudore, cercando altri punti di vista, dandoci tono e peso per “ridiventare polvere” e non morire di ingiustificata delusione dettata.

Mino Pica

Pubblicato su Coolclub.it
Anno XIII Numero 80
Marzo 2016