“Senza intellettuali” titolo dolorosamente affascinante, capace di fotografare in due parole il senso di assenza di elementi fondamentali delle dinamiche comunitarie contemporanee.
“Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni” è l’ambizioso sottotitolo, a fronte delle sole 130 pagine che strutturano l’ultima opera di Giorgio Caravale, professore universitario di Storia moderna dall’indubbio e riconosciuto valore internazionale.
Di riconosciuto in questa opera, in premessa, la capacità di aver acceso delle riflessioni importanti sul binomio Politica – Intellettuali, i cui binari negli ultimi anni si sono sempre più drammaticamente allontanati. Dopo essersi corteggiati a lungo, convissuto, sposato ed attraversato crisi d’identità ricorsive, ora sembrano spegnersi, rintanarsi, nascondersi definitivamente, subendo la violenta inevitabile onda comunicativa che ha trasformato il senso di ruoli e messaggi, e soprattutto il peso ed i valori di interlocutori, autori e destinatari. Resta la facciata della Politica e gli studi sempre più a numero selezionato e chiuso, particolari, lontani. Lo stesso autore, introducendo l’opera, spiega di quanto questa voglia essere “una riflessione sulla frattura registratasi nell’ultimo trentennio […] e sulle ragioni che hanno indotto politici e intellettuali a ritenere di poter fare a meno gli uni degli altri”.
Politica e cultura, morale e valori, manifesti e post, incontri e scontri, e si fa così tanta fatica a misurare chi ha perso rispetto a chi, che viene più facile pensare, allo Stato delle cose, che hanno clamorosamente perduto entrambi, banalmente e semplicemente, ai danni del Collettivo.
La ricostruzione storica di Caravale appare – senza dubbio alcuno – minuziosa e fascinosa, ed al di là della relativa distanza temporale, è capace di rappresentare la forte distanza rispetto ai decenni narrati, che sembrano appartenere a linguaggi e dinamiche estranee ai giorni nostri più prossimi.
Quando si parla della fine della Prima Repubblica, ad esempio, è immediato il chiedersi quale consapevolezza ci sia su ciò che accadde (e come sia stata raccontata) per quella generazione di trentenni di oggi. Quando si parla invece dei più recenti anni di governi gialloverdi, giallorossi, Renziani e tecnici, invece occorrerebbe riflettere sul valore di una memoria collettiva sempre più sollecitata, ridotta e bruciante, capace, ad esempio, di far superare il 30% di consensi ad una proposta di Governo sino ad affossarlo a meno del 10% in un amen.
Attraversando poi le pagine che ripercorrono l’Ulivo di Prodi, la discesa in campo di Berlusconi, il susseguirsi delle Fondazioni, dei nuovi think tank, di raduni e convegni alla ricerca di rinnovo e modernità, emerge come tutto ciò ha smesso di inseguire, plasmare e creare valori culturali ed indirizzi politici a favore (e danno) di algoritmi incentrati sulla figura unica di leader e bandierine facilmente identificabili, con indirizzi netti e spesso comicamente variabili.
Sul fronte Intellettuali, l’opera suggerisce la centralità dei Giornali e di particolari figure di giornalisti ed accademici, e lo fa anche grazie storie degne di nota (in particolare, a titolo esemplificativo Fagioli, Baricco, Pellicani, Recalcati, Fisichella a cui aggiungo la citazione, concessa ad un brindisino come me, di Mennitti…). Tutti e tutto i protagonisti di questa ricerca di Storia identitaria lottizzata, che nel tempo sembra poi subire il definitivo corto circuito, iniziato sin dalla fine degli anni Ottanta, quando persino l’antintelletualismo diventa morale dichiarata.
La parentesi legata alla fase dei tecnici in politica (capitolo 3), seppur segnante di quella fase debole di quella Politica che mostra tutti i suoi limiti, appare invece distante dal percorso storico narrativo iniziato, e la sensazione forte è che manchi invece una post fase dedicata al ruolo che la Comunicazione ha avuto dentro e fuori questo binomio. Di come cioè la comunicazione abbia cambiato il valore dei ruoli in maniera devastante e di come entrambi, sia il Politico sia l’Intellettuale, abbiano preferito mettersi al margine. La socialcrazia ed il controllo della comunicazione non viene raccontato, al pari, nella sua violenta accelerazione, e trasformazione, che ormai in Italia conta oltre 15 anni. La comunicazione che smette di raccontare i ruoli ma definisce gli stessi, la comunicazione che diventa messaggio centrale. L’agenda politica viene dettata dalle tendenze quotidiane che nei più clamorosi dei casi calamita attenzione collettiva di 48 ore, nei meandri di una soglia skillata che non lascia tempo alcuno. Questo significativo aspetto è ancora rincorso e non compreso, e ciò che spaventa, è che mentre tutto ciò non avviene, AI ha messo da tempo radici, con la collettività al centro di una nuova trasformazione clamorosa e non compresa. L’ennesima.
“Quante cose tutte insieme” confessa Caravale in conclusione, e se si apprezza decisamente l’intento dell’opera ci si chiede, conclusa la lettura, se per unire i pezzi del puzzle non serva una altrettanto puntuale ricostruzione da un rappresentante politico altrettanto preparato, con l’appendice terza affidata invece a quel nuovo che ha trasformato e stravolto questi meccanismi, rinnovandosi ripetutamente.
Mino Pica, 10.02.2024.
Edizione: 2023, II rist. 2023
Pagine: 168
Editore: Laterza
Collana: i Robinson / Letture
ISBN carta: 9788858150283
ISBN digitale: 9788858151938
Descrizione
Un libro utilissimo che, senza giudizi moralistici, pone al centro una delle questioni più significative del nostro tempo.
«Una politica che, alternativamente, disprezza gli intellettuali e consegna loro le chiavi del proprio futuro; un ceto intellettuale che disdegna la politica ma non ha problemi a usarla e persino a guidarla, se solo balena la possibilità di avere un tornaconto personale, cioè denaro e potere, o quel surrogato del denaro e del potere che è la visibilità. Sta tutto in questo doppio movimento schizofrenico il cortocircuito tra società civile e classe dirigente politica che ha segnato la storia italiana degli ultimi trent’anni.»
Non sono più i tempi in cui Togliatti dettava la linea agli storici marxisti, in cui lo scontro tra Craxi e Bobbio produceva un mutamento nella linea politica di un partito, in cui gli intellettuali partecipavano appassionatamente alla vita politica del paese. Ormai non è più neanche il periodo delle fondazioni, dei think tank o degli intellettuali ad personam di una ventina di anni fa. Oggi, semplicemente, politica e cultura hanno ritenuto di poter fare a meno una dell’altra. Perché? E soprattutto, come si è prodotta questa frattura? Un racconto avvincente delle tappe attraverso le quali si è arrivati a questa stagione del disamore, del disprezzo per i ‘professori’ da un lato, dell’inconcludenza e della vanità dall’altra. Un racconto che indaga le ragioni del discredito che ha investito le figure del politico e dell’intellettuale negli ultimi trent’anni; analizza il ruolo che in questo processo hanno avuto i mass media e l’università; riflette sulla dissoluzione di quel nesso tra politica e cultura, cruciale nella storia italiana del pieno Novecento.